sabato 24 ottobre 2009

La shari'a cattolica anti-amore

Quando si parlava di Pacs – durante la scorsa legislatura Prodi – provavo a far capire che considerare gli omosessuali cittadini di serie B non significasse solo meno diritti. Ma anche meno amore. Quello che mi premeva – e preme tuttora – è il limite all'amore posto dalle leggi. Questo non dovrebbe permetterlo uno Stato (seppur laico) e non dovrebbe permetterlo a maggior ragione la Chiesa cattolica. Ebbene, oggi lo impediscono entrambi.

Un mio amico si è innamorato di un sudamericano durante un viaggio. Al termine di molte peripizie (a cui si va incontro quasi consapevolmente se si persegue un amore intercontinentale), il suo ragazzo decide di trasferirsi in Italia. Scelta coraggiosa, dura, destabilizzante. Una scelta d'amore, non trovate? Eppure ecco che la shari'a cattolica che prende forme in alcuni capitoli del codice civile italiano impedisce loro di amarsi. Sì, se la chiesa entra nell'ordinamento di uno Stato non lo fa per infonderlo del principio che vi sta alla base – DIO E' AMORE – ma per preservare il suo lato oscurantista, antievoluzionista e i suoi vantaggi economici.

Un'unione civile che sancisca il legame non si può fare. Un'unione all'estero? Non verrebbe riconosciuta. Un contratto di lavoro? Non si entra in Italia nemmeno con quello. DELINQUO e me lo regolarizzo come colf? Per poche centinaia di euro il reddito annuo del mio amico non arriva ai 20 000 euro, e quindi nemmeno quello.

Il risultato di tutto questo è un addio in un aeroporto. Un amore che si infrange contro leggi ingiuste piegati ai voleri di una Chiesa secolarizzata e ingioiellata in cui non si riconoscono di certo gli eroi delle parrocchie di provincia. Che ringrazio con devozione laica pari al disprezzo per le loro gerarchie.