martedì 19 maggio 2009

Almeno doverne rendere conto

Ero un ragazzino quando ho messo piede per la prima volta nella redazione del Giornale di Ostia. Diciannove anni compiuti da poco. Il direttore mi accolse con qualche convenevole. Poi mi mise davanti a un vecchio computer sgangherato. Mi diede un comunicato stampa della Provincia di Roma – allora ne era presidente Moffa – e disse: “Torno tra mezz'ora, tiraci fuori un articolo. Vediamo che sai fare”. Mi misi al lavoro. Ero molto teso. Finii in tempo. Il direttore tornò, lo lesse e annunciò che avrei fatto parte della redazione. Lavorai lì circa sei mesi. Mi divertii da morire. Beh, potevo permettermi di lavorare 6 giorni su 7 per un rimborso di 250 euro mensili. Non poteva che essere un bel periodo.

Non mi dilungo oltre tra i cunicoli dei ricordi. A chi interessano? Quel che ci tengo a dire è che non crediate – nessuno – che un piccolo giornale di periferia sia immune dai poteri forti. In quella redazione ho visto passare politici e potentati economici, ho visto censurare i miei articoli che attaccavano in maniera troppo diretta chi non doveva essere attaccato.

Me ne andai deluso. Disincantato. Per riprendere una boccata di fiducia ci volle un anno trascorso a Londra.

A quel tempo scrivevo degli assessori Pace, Pallotta, Innocenzi, Olive.

Poi Londra, anno 2003.

Siamo nel 2009 e dopo qualche giro tra il litorale e Roma me ne torno ad Ostia. Ritrovo Olive, Innocenzi, Pallotta, Pace. Non è cambiato niente. Sono sempre gli stessi.

19 maggio 2009. Scusate i salti temporali e concettuali, ma provate a seguirmi. Vengo al dunque.
Si riunisce la Commissione Ambiente del XIII municipio di Roma. Si discute di piste ciclabili. Interviene il consigliere Bonvicini – un signore dal linguaggio che non farebbe invidia a un commerciante di pesce nel mercato di piazza Vittorio – per dire che “se domani decidessimo tutti di prendere la bicicletta, considerando che siamo 250.000 abitanti, intralceremmo il traffico delle auto”.

Aggiungo io: “Poi la città sarebbe vivibile, avremmo aria più respirabile, meno traffico, più parcheggi per i disabili, più risparmio in termini economici e ambientali”. No, non possiamo permettercelo.

Ci sarebbe molto da aggiungere, molto da ragionare, discutere. Dovremmo fermarci tutti a pensare in mano a chi abbiamo messo il nostro bel municipio.

Ogni sforzo possibile per costringerli almeno a dover rendere conto. D'ora in poi, senza soluzione di continuità.




giovedì 14 maggio 2009

Aria fresca

Bologna. Campagna elettorale di Carlo Vulpio e Sonia Alfano per le prossime europee. L'aria che si respira è un misto di voglia di darsi da fare per cambiare le cose e aspettativa di rinnovamento. C'è anche Salvatore Borsellino. Parla con una giovane di Pino Masciari. “Su Repubblica lo hanno definito collaboratore di giustizia – si lamenta – come fosse un pentito”. In sala alcuni discutono delle liste civiche di Beppe Grillo. Alcuni ragazzi fanno parte del Meet Up di Bologna. Si ragiona del possibile rapporto tra l'Idv e le liste a 5 stelle.

Con Salvatore Borsellino in sala non si può non parlare di mafia. “All'Ucciardone trovarono aragoste e champagne dopo le stragi – ricorda -. Forse non solo lì. Forse si festeggiò anche sulle tavole di parecchi politici siciliani. E non solo”.

Al termine degli interventi ho avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con Carlo Vulpio. Aveva detto poco prima che il partito aveva bisogno di una ripulita. Ne sono fermamente convinto anche io. “Luigi De Magistris ha detto di voler entrare nel partito e provare a cambiarlo dall'interno” – aveva detto Salvatore Borsellino ad alcuni ragazzi, anche loro scettici sul comportamento dell'Italia dei Valori a livello locale.

Due cose volevo sentirmi dire ieri a Bologna. E me le hanno dette entrambe.
“Non siamo specchietti per le allodole”. “Anche nell'Italia dei Valori serve una ripulita”.

E tra meno di un mese si vota.